di Angelo Mainardi

La leggenda vuole che Herb Ritts sia approdato per caso all'arte della fotografia dopo il successo delle immagini scattate a Richard Gere, che non era ancora un attore famoso, durante la sosta forzata a un distributore di benzina per la foratura di una gomma.
La scena è il deserto della California, nell'estate 1978. Pubblicate le foto dalle riviste Vogue, Esquire e Mademoiselle, Ritts allora ventiseienne riconobbe la sua vocazione che doveva fare di lui uno dei massimi artisti del clic della scena internazionale. Ma lui stesso corregge: "Quelle foto di Richard furono più un'occasione che un caso. Penso che prima o poi dovesse accadere". Autodidatta come altri grandi della fotografia, come Helmut Newton, Bruce Weber e Steven Meisel, l'artista si rallegra di non aver studiato fotografia perché l'essenziale, ritiene, è "procedere a tentoni fino a fare finalmente le cose come si sentono", fino a trovare la propria identità, il proprio stile. La fotografia per Ritts è "il modo di interpretare l'istante".
Una formula complessa, che vuole coniugare la testimonianza del tempo e il valore simbolico delle immagini. "Fisso uomini e donne sulla pellicola allo scopo di conservare una traccia delle persone che sono vissute in questa parte del secolo e che hanno contato sulla scena politica, artistica o sociale. Ecco la funzione della fotografia". La memoria di un'epoca dunque, e qui il richiamo esplicito è al grande fotografo tedesco degli anni '30 August Sander che ebbe l'ambizione di restituire attraverso migliaia di ritratti il volto del suo tempo. Ma a questo "captare l'istante attraverso un'immagine unica che servirà in defintiva a evocare un'intera epoca" (sono parole sue), si aggiunge una ricerca più profonda.
E' ancora Ritts a spiegarlo: "In fondo, che tu fotografi persone famose o no, stai sempre cercando l'anima dell'uomo". L'artista parla di elementi universali che sono molto importanti per lui. "Credo che questo sia un aspetto del mio lavoro: è universale. Le immagini devono parlarci anche se ignoriamo la lingua del paese e i codici culturali. Dico sempre che, anche se non conosci necessariamente Madonna, la donna della fotografia deve porti degli interrogativi. Mi piacciono quelle immagini in cui non sono necessarie precisazioni sul modello". Interpretazione dell'istante al di là del momento contingente. Memoria più simbolo, testimonianza più significato.
Affiora qui il richiamo a un altro grande della fotografia degli anni '30, a Leni Riefenstahl, alle sue immagini di corpi perfetti di atleti e di neri.
Ritts ama mescolare tutti i generi della fotografia. Moda, ritratti, pubblicità, inchieste. Il suo repertorio è vario e rifiuta le catalogazioni. Non ha fatto lo stesso anche Man Ray?, dice. Ai volti delle celebrità (attori, pittori, musicisti, da Jack Nicholson e Madonna a Rauschenberg e Dizzy Gillespie fino al drammatico profilo di Christopher Reeve immobilizzato sulla sedia a rotelle) si affiancano le immagini dell'Africa affamata, le scene di omoerotismo, le top models, i nudi. Il centro d'interesse preminente di Herb Ritts è la figura umana: volto o corpo. Isolati da un qualsiasi contesto (oggetti, paesaggio, ambiente) i corpi nudi di uomini e donne, soprattutto, si offrono all'occhio della macchina per una singolare metamorfosi da materia a pura forma, da carne a materiali statuari - marmo o ebano. Un'assoluta fissità li colloca fuori del tempo, li estrania dalla contingenza per esaltare la perfezione, l'armonia misteriosa della figura umana. Qui la memoria dell'attimo si trasfigura in simbolo. E' il prodigio che gli scultori realizzano nelle tre dimensioni della statua e che Herb Ritts compie sulla superficie attraverso la luce che modella le forme. "Per le mie origini e la mia educazione californiana, ho sempre avuto un'attrazione, un gusto innato per la luce".
Nei suoi bianchi e neri (rigorosamente escluso il colore) la luce è veramente il gesto creatore che dà vita al mondo.





 
 

Il grande Nudo che illustra l'invito della mostra (proveniente dalla Fondation Cartier di Parigi) organizzata
al Palazzo delle Esposizioni di Roma
per iniziativa del Comune

  Djimon con un polipo, 1989 (particolare)

Jackie Joyner-Kersee, 1987

Naomi seduta, 1991

Drew Barrymore, profilo, 1993